A proposito di Davis, per chi lo avesse perso
Un uomo sulla trentina suona in un locale del Greenwich Village, New York. Siamo nei primi anni ’60, i vestiti sono di tweed e la neve scende inesorabile accompagnando quelle dolci note di melodie folk. Le parole della canzone sono un po’ meno dolci, quasi sembra siano state scritte per essere urlate.
“non mi dispiace morire impiccato, ma restare nella tomba così a lungo”, canta invece quasi sussurrando.
Il giovane cantante è Llewyn Davis, che per tutto il film vedremo inerte di fronte al vuoto della sua esistenza. Fortemente provato dalla perdita del suo partner musicale, morto suicida, Davis non riesce (e forse non ci prova mai) a trovare la sua strada e vivere.
Dis cerca loro, ama una ragazza che non lo corrisponde, ha un padre malato. Ha solo la sua musica, e forse, ora che il suo amico è morto, non gli è rimasta più neanche quella, divenuta ormai un mero promemoria di ciò che ha perduto.
L’intero film ci mostra Dis e il suo arrancare nell’incertezza.
Il suo tentativo di prendere in mano il controllo della sua vita gli sfugge come il gatto che è solito rincorrere in molte scene del film.
Dis non sceglie, anche quando può: guidando nel bel mezzo della notte la macchina di uno sconosciuto si trova ad un bivio: ritornare a New York o raggiungere il paese dove c’è suo figlio, di cui ha scoperto da poco l’esistenza e che non ha mai visto. Dis ci pensa, e va a New York.
Questi sono solo pochi degli elementi che caratterizzano l’intero film e la sensazione di pessimismo che ne scaturisce. Un pessimismo molto poetico e accentuato da una coinvolgente colonna sonora, ma pur sempre pessimismo.
La conclusione del film è solo un’ulteriore conferma della non evoluzione del personaggio.
Ma, ovviamente, non sappiamo cosa succederà dopo. Continuerà Dis a muoversi in modo ovattato tra la folla? Del resto, forse, i suoi passi sono silenziosi perchè anche la strada dei suoi fallimenti è coperta di neve.