“Le macchine sono in grado di pensare?” Adesso sì.
Si chiama Eugene Goostman il primo supercomputer ad er superato il test di Turing.
Il test di Turing, per chi non lo sapesse, è un criterio per determinare se una macchina sia in grado di pensare o meno. Fino a poco fa la risposta a questa domanda era NO. Nessuna macchina è in grado di pensare.
Almeno fin quando Eugene Goostman non è stato progettato da Vladimir Veselov. Pensato per essere un tredicenne proveniente dall’Ucraina, Eugene è riuscito laddove tutti evano fallito. Ha dimostrato di poter pensare.
Il test consiste nel far dialogare il computer con varie persone per minimo cinque minuti, allo scadere dei quali la maggior parte di esse deve essere sicura di er parlato con una persona in carne ed ossa. Ed Eugene ce l’ha fatta!
Chissà, magari la scelta di presentarlo come un tredicenne non è stata causale. Forse è stata adottata come strategia per ingannare i tester, giustificando eventuali limiti.
“Il vero pericolo non è che i computer inizieranno a pensare come gli uomini, ma che gli uomini cominceranno a pensare come i computer”
Di seguito la prima parte di “Macchine calcolatrici e intelligenza” di A. M. TURING.
“Mi propongo di considerare la domanda “Le macchine possono pensare?”. Si dovrebbe cominciare col definire il significato dei termini “macchina” e “pensare“. Le definizioni potrebbero essere formulate in modo da riflettere al massimo grado l’uso normale di queste parole, ma in ciò vi sono dei pericoli. Se il significato delle parole “macchina” e “pensare” è da ricarsi in base al loro uso comune, è difficile sfuggire alla conclusione che per scoprire il significato e la risposta alla domanda “Le macchine possono pensare?” si debba ricorrere a un’indagine statistica, come può esserlo un sondaggio Gallup. Il che è assurdo. Invece di tentare di dare una definizione del genere, sostituirò quella domanda con un’altra, che è strettamente connessa alla prima ed è espressa con parole relativamente non ambigue.
La nuova forma del problema può essere descritta ricorrendo a un gioco che chiameremo “gioco dell’imitazione”. Vi sono tre giocatori: un uomo (A), una donna (B) e un interrogante (C), che può, essere dell’uno o dell’altro sesso. L’interrogante sta in una stanza da solo, separato dagli altri due.
Scopo del gioco per l’interrogante è quello di determinare quale delle altre due persone sia l’uomo e quale la donna. Egli le conosce tramite le etichette X e Y, e alla fine del gioco dirà “X è A e Y è B”, oppure “X è B e Y è A”. L’interrogante ha facoltà di porre ad A e a B domande del tipo: C: X, vuole dirmi per fore quanto sono lunghi i suoi capelli?Ora, supponendo che X sia A, è A che deve rispondere. Scopo di A nel gioco è quello d’ingannare C e d’indurlo a sbagliare l’identificazione. La sua risposta quindi potrebbe essere: “Ho i capelli pettinati alla maschietta e le ciocche più lunghe sono circa venti centimetri”. Per evitare che il tono della voce possa aiutare l’interrogante, le risposte dovrebbero essere scritte, o meglio ancora battute a macchina. La soluzione migliore sarebbe quella di collegare le due stanze con una telescrivente. Oppure le domande e le risposte potrebbero essere riportate da un intermediario. Scopo del gioco per il terzo giocatore (B) è quello di aiutare l’interrogante. Probabilmente la strategia migliore per B, cioè per la donna, è di dare risposte veritiere. Essa può aggiungere alle sue risposte frasi del tipo: “Sono io la donna, non dargli ascolto!”; ma ciò non approderà a nulla, dato che anche l’uomo può fare osservazioni analoghe. Ora chiediamoci: “Che cosa accadrà se in questo gioco una macchina prenderà il posto di A?”. L’interrogante sbaglierà altrettanto spesso in questo caso di quando il gioco è effettuato fra un uomo e una donna? Queste domande sostituiscono la nostra domanda originaria “Le macchine possono pensare?”.