Esperienza The Last Of Us su Playstation 4: Hasta que siento el CLICKER
E ci sono riuscito.
Vi ammetto, non sono riuscito a terminare questo capoloro che è The Last Of Us nella sua versione su PS3 essendo stato vittima di una serie di vicissitudini legate al mio possesso di una PS3 arrivata troppo tardi nella mia vita (sono passato da PS2 a XBOX360, cambiandone 4) e ben presto sostituita dalla nuova e potente macchina dei sogni che è la Playstation 4.
Considerate la domanda più ovvia: “ma che li spendi a fare sti soldi per un gioco che hai già giocato?” e privatela del suo significato in quanto i motivi per cui giocare a questo gioco sulle piattaforme di nuova generazione sono in sintesi tre:
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- La grafica è di gran lunga migliore: la qualità si vede già dall’aumento della risoluzione che non sta tanto nella risoluzione a 1080p con 60 fps ma nella maggiore fluidità del gioco e nella velocità dei caricamenti che, a dirla tutta, non ho mai sentito eccessivi se non nel primo vio del titolo.
- Se come me amate le grandi storie: allora non rimarrete delusi, questa è una grandissima storia.
- Se pensate che una storia di survival horror potesse già essere stata raccontata in tutte le sue sfumature: allora vi state sbagliando perché The Last Of Us remastered non racconta soltanto la storia che evamo visto su PS3 (già di per sé originalissima), ma contiene un nuovo capitolo prequel intitolato LEFT BEHIND che vi farà saltare dalla sedia imprecando vostra madre di lasciarvi il computer per giocare a Candy Crash nelle ore di gioco notturne.
The Last of Us è un gioco che non ha venduto 1.5 milioni di copie nel mondo nelle prime 24 ore dalla sua uscita per caso. Sembrerebbe che titoli come Resident Evil, Silent Hill e The Walking Dead non abbiano detto tutto sulle situazioni post apocalittiche legate al diffondersi di un VAIRUS LETALE e opprimente.
Forse The Last of Us ci vicina molto di più a quel lato umano che Robert Kirkman vorrebbe narrare in The Walking Dead ma che, probabilmente, non riesce a stringere perfettamente nella voglia di raccontare una società succube dal desiderio di onnipotenza, come se Walter White si fosse riprodotto in forma virale attrerso le macine Mulino Bianco.
Eppure, nonostante tutto, The Last of us e l’opera di Kirkman si somigliano tantissimo.
Ci sono delle fazioni verse, esistono delle città chiuse e un governatore violentatore (nel caso videoludico anche un bel po’ pedofilo), ma in The Last Of Us assistiamo a qualcosa di nuovo: la morte della speranza.
Dico ciò perché il filo rosso che lega le fasi della storia del videogioco ci viene presentato come una grande manovra provvidenziale dove tutte le tessere di un puzzle si uniscono per andare verso un unico obiettivo: la salvezza di tutta un’umanità. In realtà scopriremo presto che l’umanità si è mutata e si sta evolvendo in qualcosa di diverso, qualcosa che metterà su due piani i carinissimi Clicker (e famiglia) e la buona Ellie che, volendo parafrasare un film a caso degli X-Men, è la prima rappresentante di una mutazione genetica del virus e, di conseguenza, di un passo dell’evoluzione verso una nuova era.
Considerando il fatto che se non ti lecchi le dita godi solo a metà, come direbbe il vostro pusher di fiducia, The Last Of Us va giocato in una condizione mentale tra il sonnolento e l’ubriaco per godere al meglio di alcuni momenti in cui la strategia servirà veramente a poco. Vi consiglio quindi di affrontare alcuni livelli nella totale noncuranza di un processo stealth e di cimentarci in tamarrissimi utilizzi di molotov e armi da omicidio di massa.
Al momento sto terminando il capitolo Left Behind, ma ho deciso di lasciar stare perché un gatto in uno scantinato di un centro commerciale mi ha fatto rischiare per ben due volte di svenire danti al televisore. Vi farò sapere.
Buon divertimento!